Page 312 - Goya y el mundo moderno
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ciones con texturas armónicas e Com- posiciones con dimensión perdida, do- po essere state esposte in alcune collet- tive vengono inserite in una personale allestita nell’Università di Madrid (1956). È un momento chiave nella car- riera di Millares: pochi mesi dopo, nel- l’aprile del 1957, il collettivo El Paso (cui aderiscono Canogar, Francés, Fei- to, Millares, Serrano, Suárez, Saura, Conde e Ayllón) pubblica il proprio manifesto. Il gruppo, attivo fino al 1960, costituisce un punto di riferi- mento fondamentale per l’avanguardia plastica spagnola, che giunge a impor- re il proprio potente informalismo sul- le scena artistica internazionale. Milla- res espone insieme ai colleghi presso la Galleria Buchholz di Madrid (1957), la Caja de Ahorros de Asturias di Ovie- do (1957), l’Istituto Fernando el Cató- lico di Saragozza (1958), il Colegio Mayor de San Pablo e la Sala Negra di Madrid (1958), la Sala Gaspar di Bar- cellona (1959) e la Galleria Biosca di Madrid (1959). Partecipa inoltre a esposizioni internazionali quali la Bien- nale di São Paulo (1957), la Biennale di Venezia (1958), la mostra “13 Pein- tres Espagnols actuels” del Museo del- le Arti Decorative di Parigi (1959), “European Art Today: 35 Painters and Sculptors” del Minneapolis Institute of Arts, in seguito presentata in vari mu- sei nordamericani (1959); “Four Spa- nish Painters” della Pierre Matisse Gal- lery di New York (1960) e “Before Pi- casso after Miró” del Guggenheim Mu- seum di New York (1960). Le iute cre- scono di volume e l’ispirato utilizzo del bianco e nero cui si aggiungono lievi tocchi di rosso conferisce alle tele gran- de drammaticità. Le sue composizioni evocano corpi mutilati, straziati e tor- turati e bende inzuppate di sangue. Nei corpi dei suoi Homúnculos Millares amalgama la tradizione plastica iberi- ca di Goya e Velázquez all’informale internazionale. Negli anni sessanta gli Homúnculos continuano a crescere in volumetria e drammaticità, in paralle- lo nascono gli Artefactos para la paz, in cui il bianco è protagonista assolu- to, presentati presso la Galleria Edur- ne di Madrid. Nel 1966 Millares par- tecipa all’inaugurazione del Museo d’Arte Astratta Spagnola di Cuenca. Dopo diversi viaggi realizza l’album di incisioni Auto de fe e nel 1968 crea la serie Humboldt en el Orinoco. In se- guito a un soggiorno nel Sahara dà ini- zio al ciclo di dipinti Antropofauna in cui utilizza una gamma cromatica par- ticolarmente chiara. Nel 1971 il Mu- seo di Cuenca pubblica l’album di se- rigrafie Descubrimiento en Millares 1671. Colpito da un ictus il pittore vie-
ne operato d’urgenza a Madrid. L’e- sposizione “Antropofaunas, Nean- derthalios et Autres Oeuvres Recentes de 1966 à 1970” presso il Museo d’Ar- te Moderna di Parigi è considerata dal- lo stesso Millares il culmine della sua carriera artistica. Il 14 agosto 1972 muore a Madrid. Tra le numerose re- trospettive organizzate dopo la sua morte spiccano quella del Museo Na- cional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid (1992), quella della Fundación Antonio Pérez de Cuenca (2001) e quella del Museo Sen-Oku Hakuko Kan di Tokyo (2003).
M.G.
Bibliografia
E. Millares, Manolo Millares. Luto de oriente y occidente, catalogo della mo- stra, Sociedad Estatal para la Acción Cultural Exterior, Madrid 2003; A. De La Torre, Manolo Millares: Pinturas. Catálogo razonado, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Fundación Azcona, Madrid 2004.
Joan Miró
(Barcellona 1893 - Palma di Maiorca 1983)
Joan Miró i Ferrà nasce a Barcellona il 29 aprile 1893. È figlio di Miquel Miró, orefice e orologiaio, e Dolors Ferrà, fi- glia di un ebanista di Palma di Maior- ca. Sebbene dimostri una precoce incli- nazione per il disegno, nel 1907 i geni- tori lo iscrivono alla Scuola di Com- mercio di Barcellona. Terminati gli stu- di Joan inizia a lavorare come appren- dista in una drogheria, ma non si adat- ta a quella vita e si ammala. La fami- glia lascia quindi che si dedichi alla pit- tura, com’è suo desiderio. Tra il 1912 e il 1915 frequenta la Scuola d’Arte di Francesc Galí – aperta alle novità arti- stiche –, che si propone di formare gli allievi in tutte le arti. Dal 1913 fre- quenta anche il Cercle Artistic de Sant Lluc dove ritrae modelli dal vero e in- contra Joan Prats, il suo più grande amico, e Llorens Artigas, con cui lavo- rerà la ceramica. Nel 1916 conosce Jo- sep Dalmau, che lo mette in contatto con gli esponenti dell’avanguardia ri- fugiatisi a Barcellona durante la prima guerra mondiale e, nella galleria di sua proprietà, organizza la sua prima per- sonale. Nell’estate del 1918, a Mont- Roig, nella fattoria dei genitori, dipin- ge Huerto con asno e La casa del la pal- mera, inaugurando un nuovo stile ca- ratterizzato da una grande attenzione per i particolari. Nel 1920 visita Pari- gi, al suo ritorno l’influenza cubista tra- spare da opere quali La tavola (Natu- ra morta con coniglio). Da allora tra- scorre gli inverni a Parigi e le estati a
Mont-Roig. Nel 1921 inaugura la pri- ma personale a Parigi, nella Galerie La Licorne, un vero fallimento dal punto di vista commerciale, ma un’esperien- za positiva sotto il profilo della critica. Quell’estate inizia La fattoria, tela che l’anno successivo presenta al “Salón de otoño”. A partire dal 1923 va gra- dualmente abbandonando il realismo e inizia a creare paesaggi mediante un nuovo sistema di segni. Dipinge opere quali Paesaggio catalano (Il cacciatore) e il Carnevale di Arlecchino. Conosce André Breton e in piena sintonia con il surrealismo, tra il 1925 e il 1927, svi- luppa i suoi “dipinti onirici”. Firma un contratto con Jacques Viot della Gale- rie Pierre, dove inaugura la prima per- sonale di successo; partecipa inoltre al- la prima mostra dei surrealisti. Parole e frasi appaiono sempre più spesso nei suoi dipinti. Durante le estati ritorna al paesaggio con tele quali Cane che ab- baia alla luna. Nel 1928 visita il Belgio e l’Olanda; l’impronta dei maestri sei- centeschi si riflette nei suoi Interni olan- desi. L’anno successivo dipinge la serie dei Ritratti immaginari. Tra il 1929 e il 1931 una crisi lo induce a desiderare di “assassinare la pittura”, per cui la abbandona per dedicarsi al disegno, al collage e alle Costruzioni. Nel 1929 sposa Pilar Juncosa, che gli darà la sua unica figlia. Tra il 1932 e il 1936 risie- de a Barcellona, ma si reca frequente- mente a Parigi. Torna alla pittura nel 1933 con la serie dei Dipinti tratti da un collage. Tra il 1934 e il 1936 rea- lizza i Dipinti selvaggi, incentrati su es- seri organici e mostruosi. Durante la guerra civile si trasferisce a Parigi e di- pinge Il mietitore per il padiglione del- la Repubblica nell’Esposizione Univer- sale. Dal 1940 lavora alle Constella- tions, cui seguiranno – una volta rien- trato in Spagna per sfuggire alla secon- da guerra mondiale – le litografie della Suite Barcellona. Dagli anni trenta e fi- no alla morte espone regolarmente in gallerie di tutto il mondo. Nel 1941 il Museum of Modern Art di New York gli dedica la prima grande retrospetti- va. Quando nel 1947 visita per la pri- ma volta gli Stati Uniti la sua opera è già assai apprezzata. Nel 1944 inizia a lavorare la ceramica insieme a Llorens Artigas. Dal 1946 inizia a realizzare sculture in bronzo. Tra il 1949 e il 1950, alterna i “dipinti lenti”, rifiniti e dettagliati, ai “dipinti spontanei” mol- to più gestuali e istintivi. Negli anni cin- quanta realizza grandi murales cerami- ci come quello per l’Unesco e quello del- l’Università di Harvard. Tra gli anni sessanta e settanta depura gradualmente il suo linguaggio plastico riducendolo all’essenziale. Ai suoi ultimi anni risal-
gono alcune sculture monumentali. La sua opera è ormai esaltata in tutto il mondo e le mostre si succedono senza soluzione di continuità. Nel 1975 vie- ne inaugurata la Fondazione Joan Miró di Barcellona. Muore il 25 dicembre 1983 a Palma di Maiorca, a no- vant’anni d’età.
A.C.
Bibliografia
Joan Miró: snail, woman, flower, star, catalogo della mostra, Prestel, Mün- chen-New York 2002; Miró: Tierra, catalogo della mostra, Museo Thyssen- Bornemisza, Madrid 2008.
Zoran Music
(Gorizia 1909 - Venezia 2005)
Anton Zoran Music nasce a Gorizia, città che all’epoca faceva parte del- l’Impero austroungarico, l’11 febbraio 1909. Frequenta l’Accademia d’Arte di Zagabria e a partire dal 1934 si reca a Madrid, Parigi, Vienna e Zurigo per poi trasferirsi a Venezia nel 1940. Si può dire che l’arte di Goya, che am- mirò al Museo del Prado, lo abbia ac- compagnato per tutta la vita. Nel 1944 viene fatto prigioniero e deportato nel campo di concentramento di Dachau. Pur nell’orrore della prigionia, Music continua a disegnare realizzando ope- re di intensa drammaticità, in cui è evi- dente l’influenza non solo di Goya, ma anche di Rembrandt, dell’espressioni- smo di Munch e della Nuova Oggetti- vità di Grosz e Beckmann. Dopo la li- berazione, Music torna a Venezia e per un po’ sembra aver dimenticato il cam- po di concentramento: dipinge pae- saggi desolati che evocano l’infanzia trascorsa in Dalmazia. Eppure l’atmo- sfera di quei quadri ricorda Dachau. L’esperienza del lager non può essere cancellata dalla memoria e segna tutta la sua pittura, inclusa quella che sotto il profilo tematico non ha nulla a che vedere con la prigionia. Nel 1950 vin- ce la Biennale di Venezia e va a vivere a Parigi, pur non abbandonando del tutto la città lagunare. Nella capitale francese entra in contatto con l’arte informale. Solo negli anni settanta, tut- tavia, Music si decide a “testimonia- re”. Riemerge in lui il ricordo di un’e- sperienza limite, intesa adesso come tragedia collettiva – pensiamo alla se- rie Noi non siamo gli ultimi – che lo porta a esprimere la paura per un tem- po che è ancora presente con tutta la sua durezza e il suo orrore. La memo- ria diventa così il Leitmotiv della sua opera. Music riprende dall’arte infor- male l’idea del corpo come materia pri- ma. Il corpo descritto da autori come Sartre e Camus, rispettivamente in La
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